Il mostro su cui voglio riflettere è la memoria dell’uomo odierno: confusa, volatile, incerta di fronte alla rapidità del mondo contemporaneo, che impone, anche per logiche di mercato, un continuo aggiornamento alle novità tecnologiche.
L’aspetto ibrido, storpio, del mio “I-Man” (opera del 2007) è una parodia dell’era del “I”, “I-Pod, I-Phone, I-Mac”, di tutto ciò che oggi sembra “cool”, ma che già domani sarà andato dimenticato. Il suo essere formato da scorie tecnologiche di un passato recente, trasforma in chiave estetica quella che è la confusione interiore, della mente.
E’ l’uomo deformato dall’utilizzo esasperato del computer, ingrassato, che ha sviluppato un lungo collo, una piccola testa e un solo piede, poiché non ha più bisogno di alzarsi. E’una figura malinconica che interroga sè stessa attraverso una testa umana arcaica, stretta come il teschio di Amleto. Il suo aspetto suggerisce la bulimia di contenuti e di dati a cui siamo sottoposti giornalmente viaggiando in rete, dati che spesso non indagano a fondo le notizie o gli argomenti, perché tutto fugge e manca il tempo per approfondire, perfino il tempo per capire l’utilizzo di nuovi software, superati entro breve da modelli superiori.
I-Man è un uomo ipnotizzato, un nuovo Frankenstein composto da gadget e accessori tecnologici di epoche appena passate. E’un freak, un prototipo di super-uomo fallito e superato, quindi chiuso in una scatola ed esposto alla morbosa curiosità del pubblico futuro.
La confusione, la velocità, l’accelerazione esponenziale del numero di informazioni anche inutili a cui è sottoposto attraverso l’uso sproporzionato e futile della tecnologia e delle sue meravigliose, reali possibilità, gli ha fatto dimenticare il percorso compiuto, il proprio passato, personale e storico e anche il senso del ritmo sostenibile. Il pericolo dell’uomo contemporaneo è dunque il rischio della perdita della memoria esperienziale.
Per sviluppare meglio questo concetto, presento assieme all’ “I-Man” due opere tratte dalla mia serie di “Memorie Volatili”(2010). Sono ricordi di eventi della mia memoria, congelati, dei grandi pacchi postali, stretti con la corda e bloccati prima che volino via, prima che il bianco li cancelli del tutto dalla memoria. Dei pacchi, chiusi, catalogati e pronti per essere fisicamente, oltre che idealmente archiviati.
Il bianco della spersonalizzazione, dell’evanescenza effimera della memoria e il bisogno di fissare dei dati per salvare il nostro passato, la nostra storia, sono estetica e contenuto comune tra mente umana e computer back-up.
Archiviare, salvare dall’oblio, prima di tutto chi siamo, in quell’hard disk che è il nostro cervello.
Alessandro Zannier 2011, Marsiglia.