Fear, Generatore di Paura


Paura.


L’attualità di questa parola mi ha suggerito una serie di riflessioni sui meccanismi occulti che ne sono la base, la genesi, la crescita e la degenerazione. Il progetto artistico che intendo sviluppare si snoda attraverso le applicazioni psicologiche che questa forza ha sul comportamento umano. L’opera prevede la presenza di quattro assemblaggi parietali e di una installazione centrale costituita da componenti meccaniche/organiche intrinsecamente correlate in modo tale da trasmettere la presenza di un motore – organismo osservato da “dentro”.

La chiave estetica è quella della metafora formale e spesso dell’allegoria, che nel mio linguaggio tradisce volentieri una voluta teatralità scenica; un rimando all’”imperfetto” dell’Espressionismo storico con tutta la sua relatività soggettiva del distorcere e filtrare la realtà umana. La scelta dell’approccio scenografico ed espressionista sostiene la mia visione assolutamente parziale sul soggetto trattato. Non ho mai concepito l’opera come tentativo di dare chiavi universali di lettura alle problematiche affrontate. Ricerco, al contrario, la precarietà effimera del costruire e non rifinire propria delle cose e delle idee che lasciano il tempo che trovano, in quanto concepite da esseri mortali e limitati.

La “macchina della paura” – l’installazione complessiva – è sviluppata all’interno di un luogo chiuso (che meglio si presta all’artifizio…) e organizza in una struttura meccanica e para-scientifica lo sviluppo metaforico di tale pulsione primordiale.

L’ispirazione generale viene dal cinema prevalentemente tedesco dell’avanguardia storica con i suoi soggetti visionari e le sue utopie futuriste popolate da nuovi scienziati-alchimisti e da laboratori, nei quali la ricerca trascende spesso le leggi della fisica per approdare ai territori oscuri dell’imponderabile e dell’occulto. I marchingegni biomorfi che popolano l’installazione dovranno necessariamente suggerire una potenziale attività cinetica, ma nel contempo una irrimediabile immobilità. Questo aspetto fa parte di un lavoro sulle MACCHINE MORTE che sto sviluppando da molti anni e che trova qui la sua più completa e articolata applicazione.

L’insieme deve suggerire la sensazione di violare uno spazio sepolto da secoli o comunque da un tempo lunghissimo e inquantificabile, la profanazione di un laboratorio alchemico in disuso, testimone di una PERDUTA SCIENZA, capace di tradurre in strutture e meccanismi funzionanti le pulsioni astratte dell’animo umano.

La necessità di non fare “funzionare” tali marchingegni è data dal senso d’inevitabile fallimento di qualsiasi umano tentativo di comprensione di se stessi.

Alla base della mia ricerca c’è da sempre l’approccio ARCHEOLOGICO con le opere, il suggerire all’osservatore la scoperta di una forma che nasconde un suo ordine interiore, una logica dovuta alla sua misteriosa appartenenza storica ad un periodo del quale si sono perdute completamente le tracce e che ci sfugge, ma del quale si possono intuire vagamente le chiavi di lettura.

Lo spettatore dovrà percepire l’universale lotta senza tempo dell’uomo con le sue paure, e lo sconforto della consapevolezza dei tentativi falliti di sconfiggere spettri antichi e irrisolvibili che nei secoli hanno trovato modi diversi di manifestarsi.

Il problema del “terrore” (storicizzato, questa volta) che attanaglia le società occidentali odierne parte dai primordiali meccanismi di nascita e sviluppo dell’ENERGIA-PAURA e dalla facile strumentalizzazione che essa può subire.

Ho perciò individuato come epicentro del mio lavoro, e come conseguente causa e genesi di paura, la metafora dell’INCOMPRENSIONE, che a sua volta diviene MISTERO, INTOLLERANZA, ODIO, ma anche RICERCA, CREATIVITÀ ed EROTISMO.

È quindi l’INCOMPRENSIONE la raffigurazione centrale, il cuore del generatore, che distribuirà alle altre macchine allegoriche i fluidi di alimentazione energetica.

Questa energia muove sentimenti positivi e negativi, di conseguenza uscirà dal generatore in due forme distinte con inverse POLARITÀ.

L’opera si suddivide in cinque nuclei collegati tra loro secondo criteri opposti.

La figura centrale, o GENERATORE, diventa fulcro e fonte dispensatrice di energia per le altre macchine poste a croce su ognuna delle quattro pareti della stanza; queste ultime, nonostante la loro tridimensionalità strutturale, presentano un solo punto di osservazione (c.f.r. TEATRALITÀ).

Si avranno quindi un GENERATORE DI ENERGIA-PAURA al centro, due “macchine negative” (MORSA DELL’INVIDIA e OMICIDIO) su pareti opposte e due “macchine positive” (DISTILLERIA DI EROS e GENERATORE DI IDEE) sulle altre due.

Le sezioni seguenti descriveranno le cinque installazioni componenti l’opera, mentre l’ultima aggiungerà elementi di chiarificazione complessiva comuni alle cinque strutture costituenti il tutto, descrivendo l’uso della musica e dell’illuminazione da impiegare.

Generatore di Paura.
Figura centrale.

Il cuore del generatore ospita l’INCOMPRENSIONE, formata da due creature umanoidi speculari che si contendono uno spazio diviso a metà da uno specchio nero. Il centro di questo specchio presenta un foro attraverso il quale le due forme sono in contatto tramite l’unico braccio di cui sono dotate.

Le due forme sono in realtà un tutt’uno, come due gemelli siamesi, ma, non potendo vedere L’ALTRO attraverso lo specchio nero, ne percepiscono solo l’inquietante presenza e ricevono la sensazione di essere risucchiati verso di essa. (IL MISTERO)

Questa disposizione dei ‘pesi’ dà vita ad una irrazionale contesa per la quale ciascuno dei due soggetti coinvolti tende a tirare verso il proprio SEMI-SPAZIO la forma nascosta, che, dall’altra parte, farà altrettanto.

La contesa è dovuta al fatto che nessuno è in grado di vedere l’altro e quindi di valutarne peso, proporzioni, aspetto e soprattutto GRADO DI PERICOLOSITÀ.(i due contendenti non sanno di essere GEMELLI o di appartenere comunque ad una stessa MATRICE e che quindi la disputa è destinata a non risolversi mai, per parità di forza impiegata).

L’ATTRITO che si sprigiona attraverso il foro di comunicazione genera CALORE e quindi ENERGIA.

Lo scontro tra le due figure umanoidi si consuma in una porzione di spazio racchiusa da una campana trasparente a base esagonale e chiusa da un tetto di contenimento sul quale figurerà un indicatore di pressione. La campana, simmetricamente divisa in due ALVEOLI, deve evocare una sorta di gabbia toracica nella quale i soggetti in trazione, come pistoni di un motore in movimento, fungono da polmoni distributori di ossigeno – o “fluido rarefatto” – in tutto l’apparato circostante.

La forma volatile dell’energia rappresenta al meglio la composizione astratta delle forze in causa e riprende l’intuizione duchampiana dell’impalpabilità quasi aliena dei desideri e delle sensazioni, capaci di muovere così profondamente il mondo fisico.

L’intero lavoro lascia traspirare un peso e un’eredità del Grande Vetro e una volontà di approfondire e rendere attuali molti percorsi tracciati all’interno di esso, in un momento nel quale la comprensione dei propri e altrui meccanismi interiori è cruciale per ritrovare l’EQUILIBRIO.

Tutta l’opera , dalla sua struttura alle sue implicazioni teoriche può essere vista complessivamente come un tempio dell’EQUILIBRIO.

All’esterno della campana, collegato ad essa, un albero con elementi in PILA, aumenta l’energia all’interno della campana, suddividendola in ENERGIA POSITIVA ed ENERGIA NEGATIVA.

L’energia, sottoforma di GAS viene idealmente distribuita da quattro tubicini dalla base della campana alle pareti della stanza, dove le quattro forme ATTIVE della paura (MACCHINE) aspettano di essere alimentate.

La polarità positiva della paura si distilla in CURIOSITÀ e quella negativa in DISTRUZIONE.

Il GAS di CURIOSITÀ va ad alimentare la DISTILLERIA DI EROS e il GENERATORE DI IDEE ( o CREATIVITÀ), su due pareti opposte della stanza, mentre il GAS di DISTRUZIONE alimenta LA MORSA DELL’INVIDIA e L’OMICIDIO, anch’essi su pareti opposte, così da creare una struttura a croce che parte dal generatore centrale. È importante sottolineare come l’energia – paura possa indifferentemente sfociare in AZIONI (macchine) positive così come in negative: la paura, quindi, è potenzialmente convogliabile in azioni e sviluppi unicamente positivi. Il punto cruciale è il libero arbitrio di farsi trasportare dal suo lato oscuro o da quello illuminante. L’incomprensione e l’ignoto si consolidano in un’entità neutra che si può identificare nel MISTERO.

Da questo livello in poi si sviluppa un dualismo assolutamente arbitrario. Il generatore, a seconda dei casi, produce:

  1. un desiderio di comprensione mosso dalla CURIOSITÀ (fluido positivo), che genera cultura, conoscenza, ampliamento dei punti di vista, ricerca, erotismo e desiderio di sedurre ed essere sedotti;
  2. un desiderio di repressione dell’ALTRO, cioè quella DISTRUZIONE (fluido negativo) che rappresenta la soluzione più rapida all’inquietudine DESTABILIZZANTE. Chi gode di stabilità, infatti, è più facilmente preda di questa seconda reazione.(l’instabilità è quindi alla base del desiderio di apprendimento e di crescita).

Dal generatore centrale, come ho spiegato, vengono erogate le due forme della paura ai quattro punti cardinali, alimentando due macchine positive e due negative; nei paragrafi successivi le descriverò una ad una, cominciando da quelle negative.

La morsa dell’Invidia.
Macchina 1.

Morfologicamente ispirata alla struttura corporea di certi insetti, la MORSA DELL’INVIDIA è un assemblaggio “attivo”, che definisco così perché suggerisce un movimento autonomo, anche in assenza di un’effettiva attività cinetica.

La struttura è ad arco teso ed il corpo, simile a quello di una formica, presenta più nuclei uniti da esili segmenti che rendono la forma più instabile e come sul punto di disgregarsi.

Questi segmenti sono in realtà strozzature che suggeriscono la sensazione di un corpo all’origine unitario e omogeneo, come un palloncino ovale contorto e sul punto di esplodere.

La testa di questa struttura biomorfa presenta una serie di ingabbiature e un “incaprettamento” che la sottopongono ad una estenuante pressione, accentuata dalla presenza di una grande morsa e da un “bavaglio” di corde legato al piede.

Il piede è costituito da una ruota a manovella e dà la sensazione di rappresentare il fulcro dal quale partono tutte le trazioni che deformano l’organismo.(ad ogni giro di manovella, teoricamente, la trazione della corda aumenta la pressione sul capo e la tensione dell’intero arco). Èinfatti alla base di questo piede che giunge l’energia-paura dal generatore centrale.

L’energia di alimentazione è NEGATIVA e trasforma il gas di DISTRUZIONE in gas di AUTODISTRUZIONE. L’azione della paura/distruzione in questo caso è IMPLOSIVA, a differenza dell’”Omicidio” che, invece, esporta la sua tensione ed è quindi ESPLOSIVO.

La scelta di un assemblaggio in posizione eretta è dettata dalla necessità di dare al tutto la precarietà di un’imminente caduta.

La ruota a raggi sulla quale l’opera sembra posarsi suggerisce un’ulteriore senso di perdita dell’equilibrio: come certi clown che si esibiscono pedalando su una singola ruota di bicicletta, essa è una figura “patetica”.

Questo tipo di instabilità evoca una corsa a zig-zag portata ad un livello più drammatico dalla CECITÀ del capo.

L’invidia è un dolore auto-indotto, di conseguenza è una forma MASOCHISTICA di distruzione.

La cecità e lo sbandamento sono le conseguenze proprie di uno stato mentale alterato e non più in grado di cogliere e filtrare gli aspetti della realtà.

Alla base di questa sofferenza stanno il desiderio e l’appagamento negato.

La GELOSIA è iscrivibile in questo tipo di tensioni autodistruttive.

Questo meccanismo, come ho detto, rappresenta la parte implosiva della paura – distruttiva, ma può anche essere causa scatenante di una reazione opposta che sfocia nella PREVARICAZIONE (OMICIDIO).

Omicidio.
Macchina 2.

La seconda macchina, L’OMICIDIO, rappresenta la conseguenza più grave alla produzione di paura negativa.

Questa sezione è il punto di approdo di una forza distruttiva che spesso ha trovato incubazione nella macchina “sorella” dell’INVIDIA.

In quest’opera, alla base di tale degenerazione c’è la PAURA DEL POTERE che l’altro detiene.

Qui il POTERE è la somma di una determinata quantità di “cose”, concrete o astratte, che crea una gerarchia istintiva tra gli esseri viventi.

L’omicidio è la strada più breve per salire i gradini di questa scala gerarchica e avvicinarsi quanto più possibile ad una qualche forma di stabilità.

Persino nei meccanismi sfuggenti degli omicidi “insani” la mente tende ad avere una propria scala di valori e desideri atti a giustificare un’azione delittuosa che anche agli occhi di un omicida “sano” possono sembrare aberranti.

Il concetto di POTERE, come movente dell’omicidio, è quindi da intendersi nel senso più ampio e generale possibile e viene qui utilizzato per rappresentare una più sottile ma diffusa tendenza alla sopraffazione che è insita nel patrimonio primordiale di tutti gli esseri viventi. La messa in scena di questa complessità di pulsioni, e di conseguenti degenerazioni attive, tenta di cogliere un meccanismo comune che le possa contemplare e accomunare tutte.

Il punto di partenza è, come nel caso della MORSA DELL’INVIDIA, il concetto primario che L’ALTRO ha qualcosa che io non ho (OGGETTI DEL DESIDERIO) e che a me interessa, e che a me, questo “qualcosa”, è più facile prenderlo con la forza piuttosto che conquistarlo con i miei mezzi. L’OMICIDIO È QUINDI UN FURTO.

La vittima e il carnefice sono qui rappresentati da due sacche trasparenti unicellulari, primordiali, come primordiale è l’istinto omicida, incastonate in una sezione di materia “anonima” e quindi riconducibile a qualunque organismo o struttura molecolare dell’universo. Come se questo germe fosse in incubazione in ogni singola componente fisica del cosmo.

L’escamotage della “sezione” sottolinea la natura NASCOSTA di tale pulsione ed è stato concepito anche per dare il senso di quanto questa sia radicata e difficilmente estirpabile.

Il carnefice (nella parte alta) è dotato di uno strumento dall’aspetto vago di una pressa-frantoio, che rimanda a certe tecniche di tortura e di morte.

La sua funzione è infatti quella di “spremere” la vittima (parte bassa), per ottenere la fuoriuscita degli OGGETTI DEL DESIDERIO in essa contenuti. Tali oggetti hanno l’aspetto ironicamente allegorico di pietre preziose. Le stesse pietre sono presenti anche nella parte alta della sezione, incastrate nella materia e potenzialmente raggiungibili da parte del carnefice senza bisogno di ricorrere all’omicidio.

Questo stato di cose potrebbe invitare la riflessione che l’assassino non solo non vede o fa finta di non vedere questa possibilità “onesta”, ma preferisce l’azione omicida perché con essa ottiene gli oggetti del desiderio più rapidamente e contemporaneamente toglie il POTERE al suo avversario.

Lo stesso concetto di CECITÀ presente anche nell’invidia lo si ritrova dunque qui, aggravato da una certa consapevolezza.

Il campo d’azione del crimine presenta una serie di canali nei quali verranno convogliate le “gemme” ottenute dalla spremitura e spinte in seguito verso l’alto, dove saranno iniettate, tramite una siringa, nell’organismo vuoto del carnefice. Lo strumento di tortura divide completamente i campi d’azione dei due soggetti, chiudendo così ogni forma possibile di dialogo e di negoziato. È questa la degenerazione del semi-isolamento tra i soggetti, punto chiave della struttura centrale del generatore di paura.

Le potenzialità positive dell’INCOMPRENSIONE creano un contraltare di energia – paura in grado di suggerire l’alternativa, l’antidoto a tale sentimento distruttivo: la CURIOSITÀ.

Nelle due sezioni successive illustrerò il funzionamento delle macchine positive, alimentate appunto da questa forza.

Distilleria di Eros.
Macchina 3.

LA DISTILLERIA DI EROS è stata concepita per catturare e trasmettere in sintesi la SEDUZIONE e le tensioni “circolari” che essa scatena.

L’energia-paura positiva, cioè la curiosità, attiverà una macchina formata da due elementi: un peso maschile a sinistra e un peso femminile a destra.

Il primo risulta leggermente più tozzo ed è concepito sulla forma del colibrì e dell’ape nell’atto di impollinare, ma presenta sul dorso una struttura lignea con carrucole tendente verso il basso che ne appesantisce notevolmente l’insieme.

La struttura lignea non è altro che l’albero tensore dell’organo erettile, simulato qui in una parodia meccanica del pene umano.

La superficie “bendata” del corpo riporta alla struttura del bozzolo e simboleggia il preludio ad uno sviluppo, il preludio ad una nuova nascita.

Questo elemento mi è servito per equilibrare uno scompenso di tensioni fisiche e grafiche tendente, per la natura stessa dell’atto sessuale, a riversarsi prepotentemente sulla esile figura femminile; esso suggerisce l’attesa di una “contro fecondazione” subita dal bozzolo maschile, che viene penetrato a sua volta dal braccio femminile.

Ciò determina una CIRCOLARITÀ di fluidi.

Nella parte alta, all’altezza del cuore e dell’anima, il maschio viene frugato, sondato, analizzato, dal braccio femminile, e quindi VIOLATO, mentre la femmina è in attesa di una violazione più fisica.

La figura femminile, “vestita” di nero per l’esigenza grafica di riequilibrare i pesi con la ben più massiccia figura maschile, ha in realtà il controllo delle tensioni di tutta l’opera.

La postura lasciva del ventre e il “distacco” all’indietro della parte alta la rendono più sinuosa e dinamica e in un atteggiamento di “prudenza” e di controllo.

Questo movimento salvaguarda il CAPO che può così distanziarsi lievemente e mantenere una lucidità maggiore. In realtà la forma è priva di un capo fisico, ma le propaggini filamentose che si diramano dal collo verso il capo maschile ne suggeriscono la presenza e ne determinano una dimensione più astratta, riflessiva e complessa.

È una forma fissata nell’atto di analizzare e cogliere (tramite i filamenti e il braccio-sonda) quanti più elementi, informazioni e garanzie possibili sull’ALTRO, prima di essere violata.

Dal piede di essa parte un’asta che si allontana notevolmente dal corpo, determinando il vero punto di trazione di tutta la figura: all’apice dell’asta sono collegati dei cavi tesi che determinano il distacco del torace dall’approccio avvolgente del maschio e tendono l’intera opera in un arco ideale che piega allo spasimo l’asse ligneo dell’organo erettile maschile.

Sono i “freni inibitori” che controllano e frenano la seduzione femminile, rendendo con la loro sottile tendenza riluttante, più eccitante e intrigante il rapporto.

La femmina è sviluppata sulle forme sinuose dei cavallucci marini e di certi alambicchi che ne suggeriscono una funzione alchemica di distillazione, nonché una parentela con LA SPOSA duchampiana e la sua volatile essenza mentale e spirituale.

L’intera opera, grazie all’asta che si stacca dalla femmina assume i connotati di un orologio o comunque di una struttura rotante e si presenta quindi, come la MORSA DELLA GELOSIA, come una macchina “attiva”, pur essendo immota.

Il gas di CURIOSITÀ che la alimenta agisce sulle due figure, stimolando in esse un desiderio di studio, conoscenza e comprensione dell’altro, anche solo fisicamente: la curiosità porta allo studio e alla conoscenza dell’altro e quindi ad un appagamento, che è in grado di ribaltare la causa scatenante della paura, quell’INCOMPRENSIONE alla base di tutto il lavoro.

L’opera è quindi una macchina positiva.

Generatore di Idee o Elaboratore Creativo.
Macchina 4.

L’ultima macchina è un GENERATORE DI IDEE o ELABORATORE CREATIVO e porta allo sviluppo più alto e redento l’originaria paura dovuta all’incomprensione.

La curiosità, generata dal MISTERO, alimenterà questa struttura dedita all’attività più nobile e peculiare dell’intelletto umano: la CREATIVITÀ.

L’aspetto dovrà essere quello di una regina madre, una sovrana “mummificata” sul suo trono, attraverso la quale poter comunicare con l’altissimo attraverso la creazione e l’IDEA.

l’impatto complessivo dovrà essere quello di avere di fronte un oracolo meccanico, dal valore simbolico – spirituale quasi religioso.

La forma è quella di un’ape regina senza testa, tutta seno e ventre gravido dal quale aspira attraverso un reticolo di stetoscopi, gli input e l’energia della “moltitudine” della vita circostante.

Il suo ventre rielaborerà il tutto in una creazione inedita partorita verso l’alto, poiché d’essenza l’idea stessa è costituita.

L’uscita dal corpo sottoforma di musica passerà attraverso il capo a campanula in metallo piegato, e si librerà nell’aria come linguaggio universale.(la melodia che ne uscirà sarà il TEMA principale dell’intero sottofondo sonoro, approfondito nella sezione successiva)

La “testa” della sovrana ha una forma ambigua che porta almeno a tre analogie allegoriche; il cono metallico suggerisce un megafono, come strumento di divulgazione del sapere e del creare umano; un grammofono, dal quale sgorga l’IDEA nella sua forma più comunicativa e universale (la MUSICA); il copricapo di un alto prelato, che suggerisce l’appartenenza di tale attività umana alla dimensione spirituale e ribadisce come la CREAZIONE sia PREROGATIVA DELLA DIVINITÀ, o se non altro, strumento di dialogo con essa.

La figura non è in grado di sorreggersi perché gravida ed è quindi adagiata (e imbrigliata) in un trono sospeso simile ad una sedia a rotelle atta a denunciare una provvisoria infermità materna.

La posizione seduta porta alla sensazione di immobilità e quindi di meditazione.

La creatività è quindi pura meditazione ed elaborazione mentale: un processo di evaporazione verso l’alto delle sostanze concrete catturate dai sensori del ventre che porta alla FERMENTAZIONE dell’idea.

Le due manovelle ai lati del trono richiamano il sistema del macinino e portano al pensiero di una triturazione dei dati percepiti dalla realtà e di un riassemblamento di essi sottoforma di cose, concetti e opere inedite.

Il ventre gravido è dunque un serbatoio di stoffa simile ad un pallone aerostatico che viene riscaldato, dal basso, da un piccolo fornello a piastra, alimentato a sua volta dal gas di CURIOSITÀ proveniente dal generatore.

Più questo serbatoio è caldo, più si dilata e dà spazio agli input in arrivo dall’esterno (sensori), attivando contemporaneamente il processo di evaporazione che condurrà l’idea verso l’alto.

L’opera è un altro grande alambicco alchemico che fonde lo scibile, lo fa bollire e lo trasforma chimicamente in qualcosa di nuovo.

Il “generatore di idee” è la seconda macchina positiva e l’ultima delle cinque.

Musica e Atmosfera.

Un ruolo importante ai fini dei cinque centri nevralgici che costituiranno l’opera è affidato al commento sonoro che scaturisce dalle macchine stesse, come un canto di sirena percepito dalla mente dello spettatore.

L’idea è quella di un unico sottile segno di vita che provenga dalla struttura morta sotto forma di reminiscenza antica, di voce insinuante. Una sensazione di vita sotto la crosta inanimata della materia: la percezione che sotto uno strato oramai freddo di lava scorra un magma sempre vivo e attuale e che quindi i motivi che avevano portato alla creazione di tali marchingegni siano ancora urgenti e tutti da riscoprire. Un’eredità spirituale che questo laboratorio para-scientifico lascia all’uomo moderno o all’uomo di questa dimensione spazio-temporale che continua a convivere con la degenerazione della propria paura e non riesce a comprenderla e quindi a dominarla.

Ogni assemblaggio emette una distinta “frase musicale” che andrà a fare da contrappunto alle altre, creando un’ARMONIA.

Il generatore centrale ne produce il RITMO e le altre quattro ne riempiono la partitura.

Il lavoro sulla stesura di questa armonia ha richiesto un processo di sintesi estrema: ogni “frase” è esplicativa del clima complessivo della macchina che la produce e risulta ripetibile all’infinito. ( i cinque elementi dell’armonia escono su tracce separate ma coordinate da un unico sequencer che ne dà il via simultaneo e manda in loop l’intero “ensemble”).

Il tema principale, la melodia, scaturisce dal GENERATORE DI IDEE, unico tra i meccanismi a poter prevalere sugli altri poiché in grado di filtrare le sue azioni in seguito a MEDITAZIONE e non a ISTINTO (le altre macchine sono mosse da istinti irrazionali quali l’eccitazione, l’invidia e la prevaricazione e quindi produrranno “frasi” secondarie).

L’ultimo elemento di unificazione sarà dato da un’illuminazione in penombra con accensioni nette sui soggetti. Ne risulterà una luce teatrale e caravaggesca, che meglio si sposa con l’atmosfera seicentesca, tra melodramma e messa in scena, sacro e profano, scienza e alchimia.

È proprio con il riferimento a Caravaggio e alla luce sull’uomo e sul dramma della sua esistenza, trasferito ad assemblaggi meccanici e morti, che tenterò di dare valore e dignità spirituale alla costruzione prettamente tecnico-meccanicistica dell’apparato:

l’uso di una luce storicamente al servizio della rappresentazione dell’uomo, applicato all’astrazione scientifica di un marchingegno simbolico inanimato.

Alessandro Zannier 2003/2005

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